martedì 18 settembre 2012

ANATOMIA DI UNO SCATTO, parte 1

Mentre su facebook i "photographers" sono impegnati a "farsi i pompini a vicenda" (sig. Wolf cit.) e io, ancora bannato, non posso partecipare al banchetto, ho deciso di parlarvi (in realtà parlo a me stesso, visto che non mi legge nessuno) di come nasce uno scatto.

Considerato che parlo da solo, e che quindi so già che domande farmi e che risposte darmi, la cosa potrebbe sembrare un tantino ridondante, ma poco male: repetita iuvant.

Ed eccolo, lo scatto di cui mi accingo a parlare:

100% alesad

Faccio foto di tanti tipi, ma questi sono i soggetti che amo, le atmosfere che sento più mie.
Non vi piace? Questa sera provate a dire "alesad" per tre volte davanti allo specchio, e apparirò alle vostre spalle con un gancio da macellaio (altra cit., ovviamente).

Torniamo seri, per un po'.
Come nasce questo scatto?
Nasce innanzitutto da una sensazione, da uno stato d'animo. E' uno scatto costruito, certo, e non racconta qualcosa che sta succedendo fuori, ma dentro di me.
Un reportage emotivo, che astrattamente va a toccare un sentimento che, dentro di me, è concreto.

La mia psicologa può star serena, con me lo stipendio è garantito per molti anni ancora.

Una volta messe nero su bianco le linee guida del progetto (scrivo tutto su un taccuino, perchè purtroppo la natura è stata molto avara di talento con me per quanto riguarda la capacità di disegnare), sono passato alla parte pratica.

Cosa mi serviva?

Nella lista della spesa avevo:
- un corpo nudo (o che sembrasse tale, dall'inquadratura)
- una calza-collant da donna, per attenuare i lineamenti della modella e "spersonalizzarla".
- makeup aggressivo e sfatto.

Il makeup in realtà sarebbe stato aggiunto solo in un secondo momento, infatti lo scatto fa parte di una serie, che procede attraversando varie fasi.
Così come l'angoscia e la disperazione crescono in vortici che sembrano risucchiarci, anche in queste foto ho cercato di ricreare un ipotetico movimento a spirale, che da una condizione tuttosommato tranquilla e solitaria, portasse infine la modella a fare i conti coi propri demoni interiori.
Ho detto la modella? Forse era più azzeccato dire "il soggetto".

Il nostro soggetto in questo caso, l'ho scelto con cura.
L'idea è nata da sola, ma pochissimo tempo dopo averla partorita, la visualizzavo già con la fisicità e le fattezze di colei che infine ho scelto.

Margherita Cesarano, la modella di questo servizio, pronta per rapinare una banca

 La scelta dell'interprete giusto per l'idea che ho in testa, per me è fondamentale.
Non c'è cosa che mi mandi più fuori di testa che pensare di aver bruciato una buona idea sbagliando il soggetto.
Non dico che faccio solo capolavori. Non dico nemmeno di riuscire sempre ad azzeccare il soggetto.
Non ho mai scritto nemmeno che faccio buone fotografie.
Dico soltanto che quello che produco, deve avvicinarsi quanto più possibile a quello che ho in testa.
Per poter parlare di me, devo riconoscermici dentro. Il soggetto dello scatto deve essere come uno specchio di quello che provo.
Ho un taccuino pieno di idee da realizzare, in attesa della faccia giusta.
Questa volta per fortuna l'ho trovata, e l'idea non è rimasta sepolta tra le pagine del taccuino.

Ed eccoci quindi arrivati al punto in cui occorre tradurre pensieri, idee, buone intenzioni e appunti in immagini.

Per farlo occorre padroneggiare, almeno un minimo, le tecniche di illuminazione.
In questo caso volevo un'atmosfera claustrofobica, malata, opprimente.
Ho scelto di illuminare la scena con un solo punto luce. Dato che il servizio è stato girato in due riprese, mi sono trovato a lavorare con due torce differenti, la prima volta con una bowens da 400Ws, con la quale ho girato (di nascosto) pure il piccolo backstage della modella, e nella seconda parte dello shooting invece, ho usato un kit Lencarta Safari Li-Ion impostato alla stessa potenza.
Gli accessori sono stati invece sempre gli stessi, un beauty dish da 70 cm argentato su cui ho applicato una griglia a nido d'ape per restringere il fascio di luce, un piccolo ed economico boom Prolight per posizionare la luce sopra la testa della modella, frontalmente, con un angolo di circa 45°.
Completa il setup lo sfondo grigio neutro, che trovo molto versatile e semplice da modificare in post produzione.

Eccovi lo schema di luci utilizzato:





 Il setup è molto semplice, e non c'è bisogno dell'aiuto di collaboratori in studio, è facilmente gestibile anche da soli.
Quello che invece ha dato più problemi del previsto, è stato assicurare la calza sulla testa della paziente modella. Volevo evitare fastidiosi rigonfiamenti, che si verificavano puntualmente ogni volta che si cambiava, anche di poco, posizione.
Potranno andare bene per una rapina in banca, ma per fare foto con risultati ripetibili questi collant che ho usato non erano il massimo.

Vi omaggio pure con un photobomb da manuale, eseguito con autoscatto, mentre sistemo le calze alla modella

Mi faccio i fotobomb da solo.

  A questo punto, il mio lavoro sul set era quasi terminato.
Ed è proprio a questo punto, che i nodi vengono al pettine... l'idea c'è, la luce è a posto, io sono pronto, tocca al nostro soggetto ora di metterci del suo, e di interpretare ciò che le ho chiesto.



Perfetto. Esattamente quello che volevo.
Il video, per chi se lo chiedesse, è un fuoriprogramma. La modella non sapeva che lo stavo girando, le avevo semplicemente chiesto di muoversi di continuo, per sperimentare qualche scatto senza flash.
Che burlone che sono.
Lei ha sfoderato tutto il repertorio, improvvisando sul momento e probabilmente pure chiedendosi cosa mai sognavo di ricavare in quel modo assurdo senza guidarla.
Non si fa, lo so che non si fa.
Ma si fa lo stesso, e anche se ultra-cheap e ultra-minimal come ripresa, penso si percepisca quanto fosse calata nella parte e quanto feeling ci fosse sul set tra di noi per realizzare le atmosfere che avevo in mente.
In questo, credo che il piccolo video raggiunga perfettamente il suo scopo.


Bene, saluto la modella e torno a casa felice, il lavoro c'è, sono ottimista, a tratti durante lo shooting riuscivo ad immedesimarmi con lei e rivedevo tutti quegli appunti sul taccuino prendere forma.
E' una bella sensazione.
Il messaggio, quelle sensazioni che provavo, mi tornavano indietro come un'eco.

Ma il lavoro in verità non è finito.
A casa mi aspetta la post produzione.
Apro lightroom 4 e questo è il risultato dei file raw appena importati:
lo scatto originale, come acquisito in macchina


Noto subito con piacere, che l'effetto di sfocatura selettiva della lente utilizzata (un lensbaby composer con ottica double-glass da 50mm e diaframma circolare standard) ha una resa che mi lascia molto soddisfatto.

Il file di partenza è buono, evviva.
Correzione colore su Lightroom, il fondale grigio si conferma trasformista e segue alla perfezione il mood che avevo in mente, passaggio veloce in photoshop solo per aggiungere una leggera texture e abbondanti dosi di grana.
Scelgo infine, come tocco finale, di chiudere le ombre sul volto, in modo da acuire ancora di più la spersonalizzazione del soggetto.
Per qualche motivo, sono convinto che senza volto, possa avere il volto di chiunque la guarda e vi si riconosca.
I lineamenti scompaiono e restano appena accennati quel tanto che basta per definirla ancora umana, e lascio che siano le mani e la posa a parlare, a raccontare quello che provo.

Niente occhioni da cerbiatta, niente labbra da pin up, niente capelli da sfilata sul red carpet.
Una calza su cui il colore disegna un viso stilizzato come una maschera, e quel poco di luce che basta a percepire le forme del corpo.
E quelle mani...

2 commenti:

  1. interessantissima digressione sulla tua visione di uno scatto socio , parole e tecnica fuse insieme .. well done

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Fotografia

Faccio click su strane cose, che registrano strane immagini.